Reincarnation of Golden Lotus

Voto dell'autore: 2/5

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Golden LotusDate le premesse di una Joey Wong reincarnante e le foto di veli svolazzanti e aerei si poteva legittimamente ipotizzare l’ennesimo clone storpio di Storia di Fantasmi Cinesi, film normalmente inferiori al prototipo, bruttarelli, ma al contempo piacevoli e perenni fonti di riflessioni. Invece ci troviamo di fronte ad un erotico fantasy che possiede poco erotismo e ancor meno elementi fantasy. Ci si poteva aspettare un ottimo lavoro anche buttando l’occhio nei credits che annoveravano la regia di Clara Law (La Dea del ’67), la produzione di Teddy Robin Kwan, le coreografie delle sequenze action (che NON ci sono) di Tony Leung Siu hung e le performance attoriali di Joey Wong (Storia di Fantasmi Cinesi), Eric Tsang (Infernal Affairs) e il veterano Ku Feng. Niente da fare, il prodotto finito è misero e trova l’unico punto di interesse nella scomposizione narrativa finale e nei primi 20 minuti suggestivi, i primi in costume e successivamente svolti in piena rivoluzione culturale.

L’intro è intrigante; una donna, recante in mano la propria testa (Joey Wong) penetra nell’antro di una strega che tenta di farle bere tre tazze di un ritrovato capace di far perdere la memoria. Ma lei, in cerca di vendetta, si rifiuta e si reincarna durante la rivoluzione culturale, nel 1966 a Shanghai. Allontanata dal partito con accuse di lascivia si ritrova in quel di Hong Kong 20 anni dopo e si sposa con un ricco magnate (Eric Tsang). Ma il destino le farà reincontrare tutti gli uomini che l’avevano portata alla morte e alla rovina reincarnati a loro volta. Il suo status di “new woman” e la sua eterna enfasi sessuale la porteranno verso l’ennesima deriva.

Ma dopo la prima parte, suggestiva nei tempi e nella forma, il film si abbandona nel nulla e apparentemente le sezioni più funzionanti sono proprio quelle ironiche (ma al contempo melodrammatiche) gestite da Eric Tsang che mostrano in maniera grottesca i tentativi timidi e fallimentari di un uomo a cui la vita ha dato i soldi (ovvero tutto, in quel di Hong Kong) ma nessuna forza nel confronto con il prossimo specie se del sesso opposto. Tutte le sequenze sulla carta “erotiche” risultano risibili e in questo caso non si può che rinfacciare alla regista di non avere chiesto una consulenza in merito al suo compagno Eddie Fong autore invece di un classico dell’erotismo cinese come An Amorous Woman of Tang Dynasty  (ma sarebbe interessante sapere se i due già lavoravano insieme). Così il tentativo “femminile/femminista” di raccontare l’evoluzione di una donna si rivela molto più goffo di quelli di tanti colleghi uomini; il film non ha nulla né dei lavori di un Patrick Tam, né tantomeno del già citato Eddie Fong. Rimane così un oggetto del tutto trascurabile, che non può rivelarsi né un arma di battaglia femminista a chi serve, né uno sfogo per i fans dell’attrice che si mostra in maniera molto più pudica del dovuto.