The Excitement of the Do-re-mi-fa Girl

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The Excitement of Do-Re-Mi-Fa Girl"Il Cinema sostituisce al nostro sguardo il mondo che desideriamo" sosteneva Andre Bazin. Almeno queste erano le parole che gli attribuiva quel simpatico farabutto e affabulatore di Jean Luc Godard nei primi minuti de Il Disprezzo. Il maestro francese non faceva altro che storpiare un pensiero di Michel Mourlet. In ogni caso è da lui che bisogna ripartire per parlare del secondo film di Kiyoshi Kurosawa. Già nel suo esordio, Kandagawa Wars, era proprio in certa Nouvelle Vague francese che traeva la sua ispirazione il giovane cineasta, per provare in questo successivo esperimento addirittura ad alzare il tiro, deformando ai limiti estremi la forma stessa della sua espressione. Per l'appunto «il mondo che desideriamo», più precisamente quello che desiderava il regista, forse anche chi lavorava a questo curioso, quasi improvvisato, frammento schizoide di cinema è il vero oggetto della narrazione.

Questo diamante grezzo, conosciuto ai più col titolo di The Excitement of the Do-re-mi-fa Girl, doveva in origine chiamarsi College Girl: Shameful Seminar, ma sfuggì di mano alla produzione. La preventivata vergogna del titolo si dissolse nella sfrontatezza dell'insieme. Se anche il precedente film di Kurosawa non dovette rappresentare per il distributore Million Film questo fruttuoso investimento, quest'altro finì addirittura sullo scaffale dell'oblio e solo la pazienza e la protezione per i propri talenti che la società di produzione, la Director's Company, metteva nel suo lavoro, lo riportarono alla luce. Riacquistati i diritti, il regista fu libero di rimontare il film e ridurre ancor più il fattore erotico, che avrebbe ipoteticamente permesso la sua etichettatura come pink eiga. Cosa possa essere andato perso e se quello che si vede oggi corrisponda all'idea originaria dell'autore è difficile da dire. Nonostante la mole di analisi del lavoro di Kurosawa, in pochi tendono a spendere tempo su questi primi due lavori e a far luce su certe dinamiche del cinema nipponico. Bisogna farsi quindi bastare quel che si vede, che poi non è certo poco.

Si diceva di Godard di cui abbondava il primo film, ma mai quanto questo secondo. I momenti di rottura della quarta parete tanto cari al maestro, diventano vera ossessione, definitivo metodo, per questo suo esuberante discepolo. Le canzoni si moltiplicano così come i cartelli rivolti allo spettatore. "Ci son voluti 20 anni" perché i suoi personaggi realizzassero che qualcuno ha mandato in frantumi la storia, ma sono pronti ad ogni sacrificio per "ricostruirla". Venti anni sono più o meno gli anni passati da quando le proteste giovanili soggiacevano a tanto cinema d'impegno giapponese. Forse il riferimento non era a quel periodo, ma certo nel 1985 Kurosawa sembra proprio volere echeggiare gli umori rivoluzionari di un tempo. Ricominciare da zero, dai francesi che furono i primi, dalle assemblee studentesche, dall'annullamento della distanza tra professore, uno squinternato Itami Juzo, e studenti tra cui spiccano la virginea Doguchi Yoriko, la sensuale eredità del precedente film Aso Usagi e quella che vorrebbe essere la locale versione di Jean-Pierre Léaud ovvero Kato Kenso.

Ma si diceva di Godard ed è proprio per colpa sua che la citata Doguchi finì in questo folle progetto. Fu la passione condivisa per l'autore francese col regista che convinse la bella, bellissima, giovane attrice ad interpretare un ruolo in quello che doveva essere sulla carta un erotico. Non era certo in cattiva compagnia data la presenza di una leggenda del cinema di quegli anni come Itami. Aveva esordito quegli stessi anni con The Funeral e avrebbe collezionato successi internazionali con i successivi Tampopo, A Taxing Woman e A Taxing Woman's Return. Una corsa al successo tragicamente spezzata da un dubbio suicidio. In Do-Re-Mi-Fa la sua carriera è ancora quella dell'attore istrione, che la trama vuole attentatore alla verginità della bella protagonista. Anni dopo sarebbe stato lui produttore e censore di Kurosawa in Sweet Home, film noto per essere stato talmente rimaneggiato da essere quasi disconosciuto dal regista. Difficile pensare a una presunta vendetta anche se alla fine dei conti è il professore, l'istituzione scolastica, a venire sconfitta dagli studentelli. Loro è la rivoluzione, non priva di caduti, che finisce sulla declinazione nipponica della celeberrima ninna nanna composta da Brahms almeno un secolo prima. E' la sgraziata vocetta della protagonista ad invitarci a prolungare il sogno o ancora, che dir si voglia, a sostituire al nostro sguardo qualcosa d'altro.